Associazione Arena Sferisterio
Macerata Opera Festival 2022
TOSCA
di Giacomo Puccini
libretto Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Direttore Donato Renzetti
regia Valentina Carrasco
Foto Luna Simoncini
Se l’opera lirica continua a riempire i teatri di neofiti, anche giovani, oltre che di un già fidelizzato pubblico di appassionati, è anche merito di chi si sforza di attualizzarne il linguaggio, ma sempre con l’obiettivo di mettersi al servizio dello spettacolo, in maniera equilibrata, armonica e rispettosa, per valorizzare il tutto, senza recare disturbo.
Non è però quello che è successo nella Tosca di Giacomo Puccini andata in scena all’Arena Sferisterio di Macerata, nell’ambito del 58esimo Opera Festival, con la direzione di Donato Renzetti e la regia di Valentina Carrasco. Proprio la regia ha condizionato, più nel male che nel bene, lo spettacolo, rompendo gli equilibri con la sua invadenza. La pur interessante e originale idea di fondo, cioè la trasposizione della vicenda su un set cinematografico americano degli anni Cinquanta, con lo sdoppiamento dei protagonisti in personaggi (quelli della Tosca di Puccini e il duo Illica-Giacosa) e gli attori che li devono interpretare, si è concretizzata in una bulimica necessità di lanciare segnali, riempire ogni spazio e far emergere sottotesti inutili. L’idea già di per sé pericolosa, viste le difficoltà di portare avanti in parallelo una doppia narrazione, da far capire al pubblico, si è rivelata drammaturgicamente controproducente e fine a sé stessa. I numerosi espedienti narrativi, seppur resi interessanti anche grazie alla tecnologia (le prese dirette di quanto avviene sul palco, proiettate in contemporanea sul grande fondale in muratura dello Sferisterio; la scelta del bianco e nero per la vita reale degli attori del cast del film, contrapposto al colore per la vicenda originale rappresentata sul set), sono infine risultati elementi di disturbo, che hanno disorientato chi nel pubblico non avesse letto l’intervista alla regista ed acquisito preventivamente le chiavi di lettura della sua visione del capolavoro pucciniano. Tra l’altro, molti di questi espedienti, fatti di piccole controscene, di passaggi di personaggi presi da tutt’altri contesti, di proiezioni di filmati, sono spesso caduti nel vuoto per l’impossibilità fisica di essere visti da alcuni settori della platea. Un classico incidente registico, che si potrebbe imputare alla forma dello spazio scenico dello Sferisterio, che è tanto allargato sul fronte quanto schiacciato in profondità, se non fosse che si tratta di un nuovo allestimento, proprio dell’Associazione Arena Sferisterio!
Il fastidio per tutti questi elementi di difficile comprensione (se il pubblico non capisce le scelte del regista, raramente il problema è il pubblico, assunto che sia davvero quest’ultimo il destinatario del prodotto finale), è stato solo parzialmente mitigato dall’aspetto musicale. La direzione di Donato Renzetti è stata diligente ma piuttosto anonima, forse per il timore di introdurre qualche nuova distrazione, vista la già abbastanza caotica situazione sul palcoscenico. Quanto al cast, chi ha convinto è stata Carmen Giannattasio, nel ruolo del titolo, che ha dimostrato sicurezza nella parte, sfoggiando un bel suono deciso e proponendo una buona interpretazione scenica. Apprezzabile anche Claudio Sgura, scenicamente credibile nel ruolo di uno Scarpia-Weinstein; baritono dal bel timbro nella zona grave, corretto, benché non particolarmente corposo e costretto a qualche forzatura nei passaggi più acuti. Quanto al tenore Antonio Poli, alla prestazione scenica abbastanza buona si contrappone qualche dubbio sulla resa vocale nella parte di Cavaradossi: da una parte l’apprezzabile mezza voce, sfoggiata all’inizio di E lucean le stelle, dall’altra una disomogeneità timbrica tra i registri centrali e gravi, piuttosto scuri e corposi e il registro acuto, dove la voce si assottiglia e assume caratteristiche timbriche opposte.
In definitiva un allestimento ambizioso nelle intenzioni, ma che nei risultati ha convinto poco, soprattutto dal punto di vista scenico.
di Paolo Corsi
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