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Immagine del redattorePaolo Corsi

MATTO SARA' LEI


Compagnia Giorgio Totola


MATTO SARA' LEI

di David Conati


regia Massimo Totola

Verona - Cortile Arsenale - 16 agosto 2019





“Matto sarà lei”, si ride all’Arsenale con la Compagnia Giorgio Totola

Spettacolo scoppiettante, che diverte e sdrammatizza ridendo delle grandi e piccole manie di tutti. Qui più che mai il teatro è terapia

Parte bene la rassegna estiva del Teatro nei Cortili per la Compagnia Giorgio Totola, impegnata nella messinscena di Matto sarà lei, un testo di David Conati che si ispira a Toc Toc, commedia di Laurent Baffie, nota anche nella versione cinematografica dell’omonimo film di Vicente Villanueva. L’argomento attorno al quale gira la vicenda è il disturbo ossessivo compulsivo, di cui soffrono, ciascuno a modo suo, sei personaggi che si ritrovano nella sala d’attesa dello studio di un noto e stimato psicoterapeuta, con il quale hanno tutti un appuntamento. Il dottore però non arriva poiché una serie di intoppi ne stanno ritardando il viaggio di rientro da una trasferta di lavoro. Dopo la reciproca conoscenza, non senza contraccolpi, matura nei pazienti la decisione di provare a seguire una terapia di gruppo autogestita, dagli esiti imprevedibili. Durante la permanenza nello studio i confronti e le interazioni danno innesco a una serie di situazioni esilaranti. Mano a mano che se ne parla, il disturbo di ciascuno si ridimensiona, tanto da essere percepito, sia dagli altri pazienti che dal pubblico stesso, come una cosa se non normale, comunque meno grave della prima apparenza. Si è perfino portati a riflettere su cosa sia realmente patologico e sul fatto che, a ben guardare, di certe patologie, magari declassificate a semplici “manie”, soffrono molte più persone di quanto si creda, a cominciare da chi se ne sta comodo su una sedia a giudicare il DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) degli altri. In fondo, come riporta il regista Massimo Totola nelle sue note “dare del matto a una persona significa definirlo, condannarlo ... ma non è altro che un atteggiamento limitato, usato da persone intolleranti delle diversità e a corto di argomenti ! ...”. Il concetto che ogni persona è un entità complessa, e in ciascuno coesistono diverse personalità, sembra avallato dalla scelta dei nomi dei protagonisti di Matto sarà lei, tutti nome composti, come Piercosimo, Giancorrado, Cinziafilippa ecc., ad indicare che le qualità che ci caratterizzano sono molteplici, e non è detto che siano tutte positive. Anche il concetto stesso di normalità è messo in discussione, dal momento che gli unici due personaggi che dovrebbero essere “normali”, l’assistente del dottore e l’addetto al distributore dell’acqua, sono alquanto strani: l’una non appare molto professionale ed è tutt’altro che tranquillizzante, mentre l’altro addirittura si intrattiene, tra chiacchiere e strani toccamenti, con sua macchinetta. Curiosa, a proposito di quest’ultimo personaggio, la scelta di farlo agire su un piano narrativo diverso, separato da quello in cui operano gli altri. I suoi interventi avvengono su dei fermi immagine della scena retrostante, forse per sottolineare la separazione tra il mondo dei “sani” e quello dei “malati”. Separazione, come si vede, puramente convenzionale e nel caso specifico pure poco giustificata. La scenografia è davvero essenziale: un fondale di pareti bianche solcate da linee nere spezzate, due aperture ai lati, l’una per la porta d’ingresso e l’altra per l’accesso allo studio e al bagno, un tavolino basso con delle riviste, il distributore dell’acqua e sei sedie di plastica. Scena fissa, anche per quanto riguarda l’illuminazione che è neutra e invariata, se si escludono alcuni brevi momenti di stacco in penombra. L’abbigliamento è semplice ma ben rappresentativo. Il grosso del lavoro sta nei movimenti e nell’occupazione dello spazio, entrambi ben studiati, e ovviamente nella recitazione degli attori. Tutti bravi individualmente nel caratterizzare il proprio personaggio e nell’interpretare gli effetti del relativo disturbo, oltre che espressivi e sempre pronti sulle battute. Non ci sono infatti tempi morti o incertezze, che pure stanno in agguato in uno spettacolo come questo, dove il ritmo è incalzante e i sincronismi e le pause al momento giusto sono fondamentali. Nella narrazione polifonica, ciascuno segue la propria traccia, ma stando ben attento all’intreccio con le altre. Buona l’impostazione dei volumi e la dizione, sebbene in alcuni casi emerga, non cercata, una certa inflessione della parlata dialettale locale. A questo ritmo scorrono veloci i due atti, già di per sé brevi, che a dire il vero avrebbero potuto essere benissimo un atto unico, non avendo giustificazione plausibile (nessun cambio scena o altro) l’interruzione dopo solo mezzora. Spettacolo ben assemblato, ben recitato e divertente, che si segue con piacere, pur conoscendone già l’intreccio e l’epilogo.


di Paolo Corsi

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